Dopo il funerale non ero più andata a trovare papà al cimitero. Non mi sembrava essenziale, il mio papà non è lì. Ma le mie bambine volevano vedere il luogo in cui riposa, da tempo. Stamattina le ho portate, com’era giusto che fosse prima o poi. Oggi sarebbe stato il suo compleanno, il suo 71esimo, sembrava l’occasione giusta. Oltretutto le amiche avevano cominciato a farmi venire qualche dubbio: “Ma non starai evitando questa cosa? Non sarà troppo difficile? Vuoi che qualcuno ti accompagni”? No, in reltà no. Non credo. Chissà, poi magari davanti al Vantiniano mi sento male e non riesco nemmeno ad entrare… ma mi sembra improbabile. In ogni caso era da fare. Amélie sapeva abbastanza bene cosa l’aspettava, Marilù per niente: “Ma inzomma, quand’è che mi portate a vedere il mio nonno! Ma io non voglio vedere la foto, voglio vedere IL NONNO!”, aveva detto poche settimane fa. La città deserta, i fioristi chiusi il lunedì – si comprano i fiori all’Esselunga e si affronta il viale dei cipressi. Fa un caldo infernale, perdonatemi l’ammicco. Non so nemmeno in che cella sia, il mio papà – accanto alla sua mamma, al suo papà ed alle zie, che mi hanno fatto da pseudononne nell’infanzia. Marta e Cesira, sono nomi da zie zitelle da romanzo, sono le mie vecchie zie. Le prime celle le sorpasso tranquilla, da metà in poi sbircio, ma non lo trovo. Non ricordavo fosse così lontano. Procedo, chiamo sua moglie, anche per farle sapere che oggi ci sono io, e mi indica la cella giusta. Entro e vedo la lapide montata, la foto di papà accanto alla nonna Marj. E’ una foto presa in barca, era a torso nudo, sguardo intenso, gli hanno messo una camicia, bella, tipo lino azzurrino – è incredibile cosa riescano a fare. Amélie cerca il posto per lasciare il lavoretto che ha fatto, con la conchiglia (in realtà più che altro un guscio di lumaca) ed una piuma di gabbiano, trovate in spiaggia davanti a casa, al nostro lago. Nostro grazie a papà, a quell’acquisto così significativo per la storia della mia famiglia, nel’68, ancora prima che io fossi anche solo un pensiero. Mettiamo nel vasetto i fiori di Marilù. Le bambine guardano le altre tombe, le foto, Amélie legge i nomi, trova parenti, Marilù vede dei fiori più belli dei suoi, ma non è dispiaciuta. Mi rendo conto adesso che io non so nemmeno dove sia scritto il nome di mio papà sulla lapide: la guardavo e vedevo solo quella foto, a colori nel bianco e nero delle altre foto, e dei marmi e delle decorazioni bronzee ossidate e dei fiori di plastica sbiaditi e tetri, coperti da una polvere scura e spessa. Mi rendo conto che scrivere mi aiuta proprio a fissare gli eventi, a viverli di più, a vederli come al rallentatore e registrarli, un dettaglio dopo l’altro. Dettagli emotivi, più che altro. Quindi siate pazienti. Uscendo penso che mio papà proprio non è lì. Poi ricordo quando venivo qui da bambina, con mia mamma, anno dopo anno a trovare i suoi genitori. I miei nonni sono sempre stati nei cimiteri, pare lugubre, ma è così. Ma il Vantiniano non è lugubre, il rumore della ghiaia sotto i piedi mi piace molto, il verde secolare, i marmi romantici. E adesso ho le mie bambine per mano, siamo andate a trovare il nonno, insieme, come faremo ancora, anche se lo sappiamo tutt’e tre che nonno Sandro non è lì. Perchè è in questo che è mio padre, come lo erano i miei nonni sconosciuti, nel nostro passeggiare insieme pensando a lui.
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