Nuovamente il balletto delle cifre, ma questa volta il ridicolo lo sfiora la questura che (come trovo citato sul Giornale) spara un incomprensibile 30.000 quando invece, se pure gli studenti sostengono un forse esagerato dieci volte tanto (e senza contare i sindacati), la stima più realistica raggiunge perlomeno le 150.000 (ma non sono mai riuscito a vedere contemporaneamente la testa e la coda del corteo, quindi almeno 200.000 potrebbero pure esserci stati). Il timore che serpeggiava tra i ragazzi la notte prima e la mattina stessa era che le forze dell’ordine (rincuorate dalla sentenza di Genova) si lasciassero prendere un po’ la mano, fortunatamente si sono limitate a dare i numeri (e speriamo che non avvengano blitz in questi due giorni di assemblea studentesca alla Sapienza).
L’abito non fa il monaco, una reflex si
Tra le tante maniere che c’erano di vivere questa giornata io ho deciso di fare il giornalista, probabilmente spinto dall’efficentissimo servizio d’ordine interno al movimento, riflesso pratico di una più generale ottima organizzazione degli studenti stessi, encomiabili per la serietà che stanno mettendo in questa battaglia (io pure battaglieggio, sia chiaro, ma purtroppo non ho tempo e modo di tuffarmi in assemblee e collettivi e mi limito a fare un poco d’informazione). Difatti, un buon modo per evitare di essere rimandati dentro al corteo da zelanti difensori della sua compattezza è mettersi una macchina fotografica al collo e girare con un block notes in tasca, passando per reporter e avendo così libero accesso (chiaro, non mi sarebbero venuti a prendere con la forza, ma avrebbero rotto un po’) a ogni parte della manifestazione e zone limitrofe. Insomma, un po’ per fare delle belle foto, un po’ perchè mi annoio a marciare e scandire slogan, ieri ho deciso che la manifestazione l’avrei seguita da fuori.
La prima cosa che salta all’occhio, e occorre ricordarlo ogni volta fino allo sfinimento, è la compattezza di un movimento che non a caso ha la forza di trattenere un cospicuo numero di studenti per un intero weekend di assemblee. Qui si tratta di coordinare decine di gruppi locali, eppure non si nota alcuna sbavatura nell’organizzazione di un corteo composito, che ha ricevuto afflussi di studenti praticamente per tutta la mattinata e da quello che si è saputo anche parte del pometiggio, un corteo che ha saputo persino mutare direzione all’improvviso per andare ad assediare il Parlamento, il tutto senza alcun incidente con le forze dell’ordine. Non ho idea del lungo lavoro che sicuramente c’è stato dietro alla giornata, ma certamente è stato molto più complesso della semplice preparazione delle coreografie, trattandosi dopotutto di coordinare tre diversi cortei confluenti in Piazza Venezia più numerosi innesti da parte di singoli gruppi (come Ingegneria o l’Accademia).
Informandomi il giorno prima su Articolo21 avevo appreso che dopo la parte autorizzata della manifestazione era previsto in via non ufficiale un assedio al palazzo del Parlamento, tuttavia non ero preparato quando, all’altezza di via di Torre Argentina il gran fiume del corteo ha cominciato a dividersi in rigagnoli più piccoli, infiltrandosi per le strade della capitale in direzione Montecitorio ben prima di raggiungere piazza Navona (che, da quello che ho poi letto, sembra essere stata teatro di una manifestazione con la partecipazione dei sindacati e alcuni esponenti politici extraparlamentari). È stato li che ho potuto vivere sulla pelle l’emozione del giornalista in cerca della notizia: il correre a infilarsi nelle strettoie per raggiungere la testa di questo secondo corteo, il domandare ai “colleghi” e agli studenti qualche informazione su quello che sta accadendo, correre avanti, arrampicarsi su un’impalcatura, scattare in equilibrio precario e poi ancora correre avanti per cercare una posizione favorevole e provare a mettere assieme tutti i dati raccolti su un pezzo di carta. I primi istanti successivi sono stati carichi di aspettativa, anche perchè ieri ci si è trovati stranamente in mezzo tra le forze dell’ordine, schierate lungo una specie di balaustra nella piazzetta antistante il parlamento, e gli studenti che un poco alla volta arrivavano ad assediare il cuore visibile della politica italiana, ma fortunatamente quando le due parti sono venute a contatto è prevalsa l’anima pacifista di questo movimento e ci si è potuti rilassare, pensando a raccogliere dichiarazioni e scattare foto.
Non ho voluto spingere la finzione fino a intervistare qualcuno (volevo evitare che qualche giornalista mi chiedesse per che testata scrivo), e ho preferito invece origliare qualche conversazione, osservare un mondo variegato che spesso non si immagina essere dietro alle notizie che leggiamo tutti i giorni. “Facessimo sciopero noi precari dell’informazione, domani non uscirebbe un quotidiano” sento dire da un simpatico ometto barbuto, e il giovanotto coi baffi che gli sta accanto ride e annuisce, mentre intorno a loro si muove e chiacchiera amabilmente quello che appare come un club di veterani, gente che si conosce e riconosce in un mestiere che per chi viene mandato sul campo è spesso precario e sottopagato.
L’aria tra la stampa è rilassata, e mentre da un lato le forze dell’ordine osservano la folla con una certa apprensione, dall’altro i ragazzi cantano, ballano e continuano ad arrivare finchè davvero si ha la sensazione dell’assedio, per quanto gioioso. Arriva anche l’onda, il telone blu che ricorda un po’ i draghi cinesi come meccanica, e assieme ad esso la conferma che tutte le vie d’accesso a palazzo Chigi sono presidiate dagli studenti e nessuno può uscirne. Un assedio che non dura più di un tre quarti d’ora ma dall’impatto molto forte, poichè testimonia a un tempo la grande forza numerica del movimento (per riuscire ad arrivare fin lì) e la volontà di non farsi fregare da chi cerca lo scontro (“dove sono i facinorosi in questo corteo?” chiede un ragazzo-megafono rivolto al parlamento). È strano trovarsi in mezzo a chi per mestiere deve rimanere impassibile davanti a tanto entusiasmo, pensando al corteo come a uno strano animale da analizzare al massimo con un po’ di simpatia, ma senza partecipazione, e tuttavia è la maniera forse più efficace per rendersi conto di quanto potere abbia oggi questo movimento. “…Nei prossimi giorni definiremo le linne guida dell’autoriforma, perchè crediamo che la critica alla legge Gelmini non esaurisca la nostra attività…proposte ne abbiamo e le faremo tutti assieme…” sento dichiarare alla Stampa da uno dei ragazzi che hanno organizzato tutto con riferimento all’assemblea nazionale di oggi e domani, e dentro di me spero che tutto questo potenziale non vada sprecato in sterili e verbose discussioni sull’autodeterminazione dello studente, quanto piuttosto in una seria riflessione ad ampio spettro su un’università pubblica allo sfacelo.
Un poco alla volta si comincia a ripartire, e incredibilmente i ragazzi riescono ancora a gestire l’ordine degli striscioni pur nel bailamme di una piazza senza un metro quadro di spazio libero. Superato anche l’ultimo pericolo, con la polizia che fa cordone per far proseguire, poco distante, il corteo in via dei Bergamaschi (chiudendo l’accesso a piazza Colonna), la moltitudine raggiunge nuovamente piazza Venezia un po’ sfilacciata, e da lì si divide in più gruppi alcuni dei quali proseguono a bloccare le strade di Roma, al grido di “Se ci bloccano in futuro noi blocchiamo la città“. Ho il sospetto che i romani siano ormai abituati di loro a viaggiare in macchina più lentamente che a piedi (e lo facciano solo per poter stare seduti), perchè vi è una diffusa indulgenza da parte degli automobilisti che non sembrano protestare di fronte cori e striscioni. Fatto sta che un poco alla volta si torna alla Sapienza, alcuni preparandosi per restare e altri a partire, lasciandosi alle spalle l’ennesima giornata ben vissuta, sperando che serva a qualcosa e attendendo una due giorni di discussioni che spero sia possibile seguire in rete, non potendo essere io a Roma.
Mi dispiace non poter pubblicare le foto per un bel po’ (lavorando io su pellicola e non avendo uno scanner), confido comunque che la marea di macchine presenti ieri, il che mi fa pensare di non essere stato l’unico a fingersi reporter, abbia già inondato la rete di testimonianze. Per quanto riguarda me non so se nella vita finirò mai a fare il giornalista (sinceramente ne dubito, visto il mercato del lavoro attuale e la marea di gente più brava di me), tuttavia la giornata di ieri mi ha regalato un nuovo hobby, e tanto basterebbe per serbare qualche bel ricordo.
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