Come annunciato arriva di fronte ai giudici del Tar il caso delle ultime elezioni amministrative di Sirmione, dove la sindaca uscente Luisa Lavelli – dopo la rottura con il centrodestra – è stata rieletta con uno scarto di soli 15 voti sul secondo, il civico Marcello Bertoldi, e di 31 sul terzo, l’assessore uscente Roberto Campagnola. Di fatto il primo cittadino si trova dunque al governo con il consenso di poco più di un elettore su cinque.
Ora, però, entrambi i candidati sconfitti hanno chiesto l’annullamento delle elezioni (dunque non il semplice riconteggio delle schede) evocando “errori materiali” in alcuni seggi e in particolare nel numero 5 e nel numero 6, dove Lavelli ha ottenuto uno scarto maggiore rispetto agli avversari.
Nel ricorso, citando i verbali dei presidenti di seggio, si parla di un’urna che sarebbe stata lasciata non sigillata la notte, di decine di schede che sarebbero state votate con matite normali (invece di quelle ufficiali) e di discrepanze tra le schede votate e i votanti effettivi. Ma bastano questi rilievi a decretare che la volontà degli elettori non era chiara e, dunque, la nullità del voto?
Ora la parola passerà ai giudici del Tar e, in caso di ricorsi, al Consiglio di Stato. Che decreteranno se Lavelli può restare al suo posto oppure se a Sirmione va sciolto il consiglio comunale con la nomina di un commissario prefettizio fino al nuovo voto. Di certo l’attesa per la pronuncia finale rallenta di molto l’avvio dell’attività della nuova amministrazione.
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