▼ Giacomo Bozzoli nel carcere-inferno di Canton Mombello

Almeno per ora non sarà una detenzione “confortevole” quella di Giacomo Bozzoli, arrestato nel pomeriggio di ieri nella sua villa di Soiano del Lago dopo 11 giorni di latitanza. Per lui, ovviamente, non ci saranno le comodità di casa, tra cui il grande e curatissimo prato in cui spicca una piscina di dimensioni davvero significative con annessa jacuzzi. Ma nemmeno le condizioni dignitose di un carcere come Verziano.

Per l’imprenditore 39enne – condannato in via definitiva all’ergastolo – nella tarda serata di ieri si sono infatti aperte le porte del carcere di Canton Mombello (Nerio Fischione, come si chiama ora), in cui i detenuti (come gli agenti di Polizia…) sono costretti a vivere in condizioni che niente hanno a che fare con l’obiettivo di rieducarli e poco perfino con la dignità dell’essere umano, entro spazi vetusti e angusti, con un tasso di sovraffollamento tra i peggiori d’Italia e troppi detenuti problematici a popolarlo. Una struttura che proprio oggi – singolare coincidenza – riceverà la prima visita della Commissione speciale “Tutela diritti delle persone private dalla libertà personale e condizioni di vita e di lavoro negli istituti penitenziari” della Regione Lombardia.

Bozzoli è arrivato a bordo di una Giulia Grigia, dopo l’interrogatorio nella caserma dei Carabinieri di Piazza Tebaldo Brusato. E questa per lui è stata la prima notte dietro le sbarre. Resta da capire se potrà sperare di spostarsi a Verziano. Forse avrebbe potuto trattare questa condizione se si fosse consegnato subito o quanto meno prima del mandato di arresto internazionale. Ma non è andata così e ora il “privilegio” andrà guadagnato sul campo, iniziando dalla piena confessione di quanto accaduto dopo la sua scomparsa.

Di fondo, però, una questione rimane. E vale per tutti: Giacomo Bozzoli non dovrebbe stare a Canton Mombello, come non dovrebbe starci alcun essere umano al mondo. In Italia la pena deve puntare alla rieducazione del detenuto e non può diventare una forma di tortura. Non deve esserlo per uno spacciatore, non per un “poveraccio” che ha commesso un reato spinto dal “bisogno”, non per un milionario che ha violato la legge per ingordigia e nemmeno per chi, secondo quanto afferma la Giustizia, ha progettato l’atroce morte dello zio nel forno di una fonderia.

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